01/02/2025 9:52
Qualche anno fa, precisamente il 26 marzo 2020, avevo inaugurato un blog su una nota piattaforma pubblica con questo articolo. Dopodiché non ho mai più seguito la cosa né ho mai diffuso il link, lasciando lì l'articolo che in tutto questo tempo ha raggiunto la bellezza di 3 visualizzazioni. Riporto qui l'articolo in questione — riveduto e con piccole correzioni — diviso per via della lunghezza eccessiva.
Desidero inaugurare questo blog raccontando di un viaggio che è ormai irripetibile: la carrozza diretta Venezia-Mosca è stata soppressa nel dicembre del 2011 insieme all'Euronight 241 Venezia-Budapest «Venezia», convoglio cui veniva agganciata.
Correva l'anno 2010 e per la prima volta in vita mia avevo un lavoro vero, o quasi; ad ogni modo disponevo di una modesta somma da investire nella mia attività preferita: viaggiare.
Due miei amici avevano deciso di percorrere la ferrovia transiberiana per raggiungere in treno Pechino da Mosca e — complice il mio amore per le notti in treno — decisi di seguirli. Avevo però ottenuto solo due settimane di ferie («Questo mese vale doppio, la paga è uguale ma lavorate la metà» aveva sentenziato il capo) e mi trovai quindi a compiere una scelta: Seguire i miei amici in aereo fino a Mosca oppure provare la carrozza diretta Venezia-Mosca per poi raggiungere in aereo i miei amici ad Ulan-Ude.
Per fortuna, sentendo nell'aria l'odore di imminente soppressione del servizio, optai per rimandare ad un'altra occasione il mio viaggio sulla linea ferroviaria più famosa del mondo e scelsi di prendere il treno da Venezia. Scelta che si rivelò azzeccata dato che appena l’anno successivo il treno venne soppresso.
Qualche anno prima mi era capitato di passare dalla Biglietteria Internazionale e di scoprire che nei faldoni che gli impiegati consultavano per emettere i biglietti scritti a mano, esistevano alcune pagine in cui erano elencate varie destinazioni russe associate al numero di km, al prezzo del biglietto e della dicitura via da riportare sul documento.
Nel 2010 la Stazione Centrale di Milano, città in cui vivo e da dove sarei partito, aveva appena subito importanti lavori di restauro e riqualificazione e la biglietteria internazionale era stata, ahimè, eliminata; inoltre non venivano più emessi biglietti manualmente.
Tentai quindi di comprare il biglietto ad un normale sportello della biglietteria. Ricordo ancora il mio stupore quando chiedendo un biglietto da Venezia a Mosca l'impiegata incominciò ad elencarmi una serie di stazioni moscovite. Inutile dire che una volta scelta la «Киевский вокзал», capolinea della carrozza, il sistema non fu in grado di trovare alcun treno disponibile.
Mi rivolsi quindi ad un sito web russo che, a fronte di una modesta commissione e di un altissimo prezzo di spedizione, in pochi giorni mi recapitò a domicilio un biglietto emesso dalle ferrovie russe, cartaceo.
Il biglietto ferroviario cartaceo
Già raggiungere Venezia non fu cosa facile: a quei tempi tra Milano e Venezia viaggiavano alcuni interregionali che permettevano — con poca spesa — di spostarsi tra i due capoluoghi senza bisogno di cambiare. Questi treni avevano la peculiarità di disporre di tracce orarie incredibilmente abbondanti (alcuni malpensanti ritenevano che si trattasse di una scelta ben precisa delle Ferrovie, in modo da allungare i tempi di percorrenza e dirottare i viaggiatori su treni più costosi) e, di conseguenza, generalmente non accumulavano mai ritardo.
Nemmeno a farlo apposta, in questa occasione, il mio treno aveva accumulato mezz'ora di ritardo già all'altezza di Chiari. Chiesi aiuto al controllore il quale mi consigliò di scendere a Brescia e di prendere l'Eurostar City che sarebbe passato di lì a poco, superando l'interregionale. A Brescia una fila interminabile alla biglietteria non mi permise di acquistare il supplemento; salitendo su una carrozza a caso, incrociai il capotreno proprio nel vestibolo, il quale mi chiese immediatamente il biglietto. Riferii di avere con me il biglietto dell'interregionale e mi zittì subito con un «Ma lo sa quanto costa fare il biglietto a bordo?». Subito replicai — non so come mi sia uscito spontaneamente — con «Ma lei lo sa che fila c'era in biglietteria?», pronunciato con un tono piuttosto acido. Per un qualche mistero, al posto che infuriarsi il capotreno si addolcì e — dopo essersi fatto descrivere con più calma il mio problema — decise di emettere un biglietto omaggio con la sola spesa di 8 Euro per l'emissione a bordo. Così, dopo poco, stringevo in mano una specie di scontrino con i dati del mio viaggio, compreso il posto che mi era stato assegnato, visto che su questa categoria di treno la prenotazione era obbligatoria.
Arrivato a Venezia sorse un altro problema: reperire una marca da bollo da 40,29 Euro da applicare sul passaporto. Visto l’anticipo rispetto alla partenza del mio treno mi avviai in direzione di piazza S. Marco e, Arrivato all'altezza del Ponte di Rialto, ebbi modo di scoprire che — pur trovandomi in una delle località più turistiche al mondo — le tabaccherie ad agosto erano quasi tutte chiuse per ferie. A quel punto tornai in stazione, al cui interno trovai una tabaccheria aperta che non avevo visto prima e che vendeva valori bollati: finalmente ero pronto per lasciare legalmente l'Unione Europea.
Frattanto sul tabellone delle partenze era comparso il treno per "Budapest Kele", indicato in partenza dal binario 4.
Sul tabellone di Venezia S. L. viene annunciato il convoglio per Budapest
Mi portai dunque sul quarto binario e, superata una carrozza serba, mi trovai davanti una carrozza di colore verde, la vecchia livrea delle ferrovie russe. Ad attendermi non trovai la classica cuccettista russa con pettinatura démodé, bensì due cuccettisti uomini — un po’ su d’età — che indossavano un elegantissimo abito bianco doppiopetto con i bottoni dorati: che lusso! Tale abbigliamento, nel corso del viaggio, si trasformerà in una logora canotta indossata sopra i pantaloni del completo.
Tentai di chiedere in italiano se quella carrozza fosse la mia e subito mi accorsi che i cuccettisti non parlavano una parola di una lingua che non fosse russo. Mostrai a quel punto il biglietto e, una volta scortato al mio posto, notai oggetti di un'altra persona che a breve comparve: la mia compagna di viaggio era una signora innamorata dell'Italia, il cui sogno era quello di acquistare una casa in un piccolo villaggio della provincia di Matera — si stupì quando le rivelai di non avere la più pallida idea di dove fosse quella località. Chiacchierando — parlava bene, decisamente meglio di me, l’inglese — mi raccontò che abitava nella «città dei Cosmonauti» e, anche in questo caso, non si capacitò del fatto che io non conoscessi quella località. Col senno di poi penso che si trattasse della Città delle stelle.
Il treno, puntuale, lasciò la stazione. Rapidamente, fra la mia cena (dei taralli lunghi di Barletta comprati quasi per caso al supermercato di largo V Alpini andando verso la stazione) e quattro chiacchiere con la mia compagna di cuccetta, il convoglio si divorò il Veneto e parte del Friuli Venezia Giulia. Avvicinandosi il momento di dormire, la mia compagna mi invitò ad uscire dallo scompartimento, spiegandomi che di consueto in Russia prima si cambiano prima le signore mentre gli uomini attendono in corridoio, per poi invertirsi, lasciando cambiare i signori; già, nei paesi dell'ex Unione Sovietica usa indossare il pigiama sui treni a lunga percorrenza. Ci coricammo mentre il treno stava entrando nella stazione di frontiera di Villa Opicina. Durante la sosta per il cambio di locomotiva e del personale viaggiante ci assopimmo risvegliandoci solo al confine successivo: la Croazia non è in Schengen (all'epoca non era nemmeno nell'Unione Europea) ed in quel di Dobova saliva la polizia di frontiera slovena per i controlli di rito.
Mentre al treno veniva sostituita la locomotiva delle ferrovie slovene con quella delle ferrovie croate (anche ai tempi della Jugoslavia unita, quando non c'erano i controlli doganali, i treni sostavano qui per cambiare il locomotore: la rete ferroviaria slovena è elettrificata da sempre in corrente continua a 3.000 V, mentre la Croazia utilizza corrente alternata a 25kV - 50Hz) salirono a bordo poliziotti “armati” di timbri datari.
Ai cittadini extra-UE — credo di essere l'unico non russo in tutto il vagone — viene timbrato il passaporto, a me no. Chiesi, però, che mi venisse apposto un timbro per annullare la marca da bollo. L'addetto mi chiese di che cosa si trattasse e gli spiegai che si trattava di una tassa italiana per lasciare l'Unione Europea. Mi guardò stupito, mi appose il timbro e se ne andò a continuare il suo lavoro. Percorremmo quindi il breve tratto che ci separava dalla stazione di confine croata, Savski Marof.
A differenza del lato sloveno, per velocizzare le operazioni, qui i poliziotti salivano ed effettuavano il controllo mentre il treno procedeva a tutta velocità verso Zagabria. Non male come idea, evitare lunghe soste nella stazione di un villaggio di 35 abitanti! Eravamo in agosto, il treno era colmo di viaggiatori diretti nell'est Europa (era l'unico treno a valicare il confine di Villa Opicina, dopo la sua soppressione nessun convoglio passeggeri entrerà in Slovienia fino al 2013) e, da quanto si diceva a bordo, per far fronte all'aumento dei passeggeri erano state agganciate più carrozze rispetto alla normale composizione. Fatto sta che, trascorso ormai del tempo dalla partenza dalla stazione di frontiera, arrivò un ragazzino a bussare ad ogni cuccetta gridando in inglese «Please, prepare your passport». Quando il treno stava già rallentando e si scorgevano i primi cartelli "Zagreb Glavni kolodvor" un affrettato doganiere si precipitò nel nostro scompartimento, chiese i passaporti, li aperse in una pagina a caso, controllando a malapena che la foto coincidesse con il proprietario, ed appose un timbro su ogni passaporto. Ormai il treno si era fermato a Zagabria e il doganiere doveva ancora controllare un paio di cuccette oltre all'intera carrozza per Belgrado. Mi chiedo ancor oggi come abbia fatto.
Ormai nel cuore della notte, potemmo ripiombare nel sonno e ci risvegliammo solo quando un altro doganiere croato bussò alla porta dello scompartimento, ormai in prossimità della frontiera di Koprivnica. Qui il controllo fu espletato con maggiore calma, mezzo addormentato riuscii a vedere il treno transitare sopra il ponte sulla Drava subito seguito da un cartello che indicava il confine. Arrivammo a Gyékényes completamente storditi dal sonno continuamente interrotto. Il treno ripartì con un regresso dopo aver effettuato il cambio della macchina con una magiara e i controlli di frontiera ungheresi; a questo punto crollai di nuovo addormentato fino circa a metà della linea del lago Balaton. Al risveglio mi resi piacevolmente conto del fatto che dal finestrino potevamo gustarci il paesaggio lacustre.
Ripresi dal treno in corsa, alcuni cicloturisti pedalano sulle sponde del lago Balaton
Mancava ormai poco al nostro arrivo a Budapest, dove il treno avrebbe sostato per circa 7 ore. Da orario sarebbe dovuto rimanere fermo 8 ore ma, grazie ad un ritardo di un'ora accumulato prevalentemente in Slovenia — sul treno si dice che fossero in corso lavori di ammodernamento — la sosta risultò più breve. La mia compagna di cuccetta mi fece uscire per rivestirsi, dopodiché mi cambiai io. Quando uscii, la trovai intenta a chiacchierare con una giovane coppia che dormiva nello scompartimento accanto al nostro. Ridacchiavano osservando l'ingresso nella stazione di Budapest, ricordando che ai tempi dell'Unione Sovietica tutto il materiale pornografico arrivava dall'Ungheria. Mi invitarono poi a fare un giro per la città con loro; naturalmente accettai, acconsentendo al fatto che il cuccettista chiudesse a chiave lo scompartimento con dentro i bagagli sino al nostro ritorno.