04/02/2025 21:08
A Budapest seguii i miei compagni di viaggio che discorrevano quasi esclusivamente in russo. Incominciammo a camminare speditamente fino ad attraversare un ponte sul Danubio, lo Erzsébet híd, per poi arrampicarci su una piccola altura fino a raggiungere la Szent Gellért-szobor.
Arrivammo in cima che per poco non respiravo più: all'epoca ero ben allenato a camminare, anche in montagna, ma i miei compagni di viaggio procedevano con un'andatura particolarmente spedita. Decidemmo di scendere e ci incamminando verso il centro finché un russo di una certa età, sentendo gli altri discorrere in russo, ci fermò per strada e decise di condurci a vedere alcune attrazioni della città.
Ci fece prendere la metropolitana fino alla Piazza degli Eroi, dove tenne un lungo discorso esplicativo in russo in cui presumo abbia spiegato la storia del monumento che chiude la piazza da un lato.
Decise quindi di farci arrivare nei pressi del Castello Vajdahunyad e pretese che ciascuno di noi si facesse fotografare sotto la statua dell'Anonymus: a quanto si narra, toccargli la penna porta fortuna.
La fotografia di me con l'«Anonymus»
Terminò la visita mostrandoci la ruota del tempo e ci lasciò davanti a un ristorante tipico nel vialone di fronte (da ricerche a posteriori credo di averlo identificato nel Paprika Vendéglő) in cui sosteneva che si mangiasse benissimo; effettivamente mangiammo tanto e bene, senza spendere una cifra esagerata. Terminato il pranzo tornammo in stazione, dopo una breve sosta ad un negozietto per la spesa necessaria ad affrontare altri due giorni di treno: io comprai dei biscotti e dell'acqua minerale, i miei compagni una fetta d'anguria e della vodka
Io sotto la tabella di percorrenza Venezia-Mosca, in attesa di ripartire da Budapest
Tornati in stazione, controllammo sul tabellone la presenza del nostro treno e montammo a bordo della stessa carrozza con cui avevamo raggiunto Budapest, che nel frattempo era stata agganciata al treno per Mosca. Il tempo di sistemarci e il convoglio, alle 18:43, si avviò lentamente verso la frontiera nord-orientale di Záhony.
Tabellone delle partenze della stazione di Budapest Keleti pályaudvar. Oltre a Mosca si notano altre destinazioni oggi irraggiungibili per ferrovia come, ad esempio, Sarajevo
Ci riunimmo nello scompartimento della giovane coppia, che ci aveva invitato a trascorrere la serata con loro. Come mi sedetti, il ragazzo tirò fuori una bottiglietta di San Benedetto naturale da mezzo litro e mi chiede se avessi sete, facendo uno strano gesto con le dita sul collo: puntò l'unghia del medio fra la due falangi del pollice e lo trascinò fino a superare il dito e a colpirsi sul collo. Risposi di sì, lui uscì e si fece dare 4 bicchieri dalla cuccettista. Rientrato divise il contenuto della bottiglietta nei due bicchieri. Dopo avermene porto uno incominciò a tracannare il contenuto dell'altro. Appena assaggiai la bevanda mi accorsi che non si trattava di acqua: «Italian grappa, in this bottle for the customs» dichiarò ridendo. Da quello che scoprii in seguito, il gesto delle dita sul collo è un gesto che significa domandare se si desideri bere alcol. Dopo la grappa fu il momento di bere tutti e 4 una bottiglia di vodka, poi venne il turno di una birra da 66 divisa tra me e il ragazzo. Il tempo incominciava a guastarsi, ormai era buio pesto e si vedevano rivoli d'acqua scorrere sul vetro del finestrino, mentre il buio veniva a tratti squarciato da lampi in lontananza. Estrasse quindi del vino rosso (sembra che ci fosse più alcol in quello scompartimento che in un supermercato!), vino di cui riuscii appena ad assaggiare una sorsata. Mi risvegliai sdraiato, mentre il treno era fermo in una stazione, c'era il sole e faceva un caldo tremendo. Il mio finestrino era posto in corrispondenza dell’inizio di una tettoia, fuori vedevo solo dei manifesti scritti in cirillico ed una panca, su cui sedeva un'anziana signora piegata in lacrime, consolata da una giovane donna. Ai suoi piedi vi era un cestino coperto da uno strofinaccio. Mi trovavo in Ucraina, ma com'era possibile? In mezzo ci sarà stata una dogana, con formalità più serie rispetto a quelle delle dogane occidentali, e la procedura di cambio dei carrelli del treno (nell'ex Unione Sovietica si trova quasi ovunque lo scartamento largo da 1520 mm, mentre quello europeo è di 1435 mm, i treni alla frontiera vengono posti in un tratto in cui il binario ha tre rotaie, vengono sollevati da gru pneumatiche, a questo punto vengono sostituiti i carrelli su cui viene poggiato nuovamente il treno) che in genere provoca un gran trambusto.
Il treno ripartì e riconobbi la particolare costruzione: era la stazione di Leopoli! Eravamo già stati agganciati al treno 15/16 Тисса, Mosca - Užgorod. Mi alzai dal letto e la mia compagna mi spiegò: ero crollato e loro erano riusciti a trascinarmi a letto; fortunatamente, da amante della burocrazia, prima di raggiungere i miei compagni di viaggio avevo compilato la carta dell’immigrazione che avevo inserito nel passaporto e appoggiato sul tavolinetto. Il cuccettista aveva quindi trovato e consegnato il tutto ai doganieri, che avevano timbrato il passaporto, facendomi proseguire il viaggio. Si vede che non ho la resistenza all'alcol dei russi, gli altri stavano benissimo; i miei compagni di viaggio infatti andarono al vagone ristorante, mentre io rifiutai volentieri. Intanto il treno percorreva l'Ucraina ed io mi rimisi a dormire, ero ancora un po' disturbato. Faceva molto caldo, nonostante la carrozza fosse climatizzata, era ancora mattino e fuori il termometro segnava 40°C, temperatura piuttosto insolita per questi luoghi.
La temperatura è già molto alta al mattino
Restai un po' in dormiveglia e quando mi risvegliai del tutto stavamo per entrare nella stazione di Vinnica. Il tempo trascorse abbastanza velocemente finché non raggiungemmo Kiev. Lì era prevista una sosta lunga, salirono delle persone armate di aspirapolvere e pulirono l'intero vagone, mentre chiacchieravo con i miei nuovi amici dal finestrino del corridoio, scesi per fumarsi una sigaretta.
Ormai la sera si avvicinava quando raggiungemmo la stazione di Konotop (Конотоп Пасс.) che, pur non essendo una stazione di confine, ospitava il controllo doganale di alcuni treni, tra cui il nostro, che non effettuano più fermate in territorio ucraino. Qui si verificò un problema: la mia compagna di scompartimento, nel mettermi a letto, nonostante fosse stata attenta a conservare i miei documenti, smarrì la sua carta dell'immigrazione con il timbro d’ingresso. I doganieri si rivelarono inflessibili, le dissero che doveva scendere, lei protestò ma loro insistettero: svrebbe dovuto assolutamente scendere per alcune verifiche e prendere un treno successivo a sue spese. Lì la mia compagna di viaggio ebbe un colpo di genio: nel nostro scompartimento, sopra il lavandino, si trovano due armadietti in cui aveva riposto alcuni abiti. Disse quindi loro che potevano continuare il controllo e che lei sarebbe scesa appena avesse messo i vestiti in valigia. La sosta del treno era abbastanza breve, erano previsti solo 20 minuti; mi rimarrà per sempre impressa la faccia dei due doganieri a terra che guardavano stupiti il treno che ripartiva senza che la persona da controllare fosse scesa. Lei intanto fece un gesto battendo l'indice sulla testa, come per dire che erano pazzi. Mi auguro solo che in futuro non abbia più avuto problemi per questo episodio. Calò la notte e venimmo svegliati di soprassalto alla stazione di Brjansk (Брянск-1-Орловский). Qui i russi effettuano il loro controllo, con un metodo analogico: Si portavano appresso enormi quaderni ad anelli bianchi che, a quanto mi raccontavano, contenevano i nominativi delle persone ricercate o bandite dalla Russia. Il controllo si svolse però rapidamente, una ricerca sul quadernone, timbro e via, pronti a ripiombare fra le braccia di Morfeo. Eravamo ormai lanciati verso Mosca. Quando il cuccettista ci svegliò sembrava di essere nella Bassa Padana d'inverno: visibilità a pochi metri e nebbia ovunque.
Il fumo avvolge ogni cosa
Accesi il telefonino ed arrivarono i primi messaggi dai parenti italiani: Attenzione, ci sono stati incendi nei boschi attorno a Mosca e la stessa città è invasa dal fumo.
Prendemmo un caffè dai cuccettisti e ci preparammo a scendere: il ponte del MKAD segnalava l’imminente arrivo all'ultima stazione. Un veloce saluto ai miei compagni di avventura e via per la città, a fare una passeggiata in centro prima di raggiungere l'aeroporto di Domodedovo, in cui quasi tutti i voli erano cancellati per la nebbia. Fortunatamente il mio era solo in ritardo di un paio d’ore, ma questa è un’altra storia...
La piazza della stazione avvolta dal fumo
Stupidamente all'epoca non immortalai l'orario affisso sul vagone. Per fortuna, avrò modo due mesi dopo di viaggiare su un'altra carrozza del Тисса, la Mosca - Presburgo, in cui riuscirò a fotografare l'orario comprensivo di tutte le varie carrozze dirette (tranne quella su cui viaggiavo!), compresa quella per Venezia. Ad occhio l'orario non dovrebbe essere cambiato fra il mio viaggio e lo scatto e lo riporto. Come sempre sui treni internazionali, gli orari erano mostrati con il fuso orario locale per l'estero e con il fuso orario di Mosca per la Russia (questo convoglio, comunque, attraversava solo parti di Russia con il fuso moscovita).
Orario del Tissa
Тисса, o Тиса, il nome del treno russo a cui era agganciata la carrozza da Venezia, è il nome russo del Tibisco, fiume che dall'Ucraina attraversa l'Ungheria per poi confluire nel Danubio in Serbia.
La carrozza su cui ho viaggiato sembrava decisamente nuova. Oltre alle toilette classiche era dotata di una cabina doccia abbastanza larga (l'ho sbirciata ma non mi sono informato sul suo funzionamento e sull'eventuale costo richiesto). Nello scompartimento si trovava un sedile che, una volta alzato, nascondeva un frigorifero, un mobiletto armadio con incluso un lavello. Un pannello a LED posto in corridoio teneva costantemente informati i viaggiatori riguardo l'orario e la temperatura.
Nonostante la mia passione per le ferrovie, un po' per premura (per la questione della marca da bollo sono arrivato abbastanza al pelo!) e un po' per pigrizia non mi annotai il modello e il numero della macchina italiana anche se in seguito ho avuto modo di leggere che in quel periodo il «Venezia» veniva spesso trainato da una E405. Inoltre, qualche mese prima avevo già viaggiato su questo convoglio nella prima carrozza, ed avevo notato il traino in territorio sloveno effettuato da una locomotiva del gruppo 342 (dalle nostre parti meglio nota come E640). Non so nulla della locomotiva croata, mentre osservando una fotografia parrebbe che il treno sia arrivato a Budapest al traino di una locomotiva del gruppo V63.